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"Al soave spirar" (Lamento di Arione) [Arr. Pluhar for Ensemble]

"Al soave spirar" (Lamento di Arione) [Arr. Pluhar for Ensemble]

Christina Pluhar Veronique Gens Луиджи Росси

Текст песни

Al soave spirar d’aure serene
ver’ le bramate arene
fendea lieto Arion le spume infide,
quand’ecco, egli s’avvide
ch’insidiosa morte a lui s’appresta
da’ naviganti avari
sulla prora funesta.
Tremò, gelò, sparse d’affanno il volto,
poi con sospiri amari,
sfogando il duolo accolto,
più ch’a quel crudo stuolo, ai sordi venti
diede questi lamenti:
«Ahi, chi mi porge aita?
Chi da morte mi toglie?
S’alcun pietade in gentil core accoglie,
sia scudo alla mia vita.
Ahi, chi mi porge aita?
E se pur anco estinta
ogni scintilla è di pietà per me,
ditemi almen perché
vi prende un sì crudel desio,
ohimè, che v’ho fatt’io?
Io che fuor che piacer altro non volli.
O pensier troppo folli!
Lungi alle patrie sponde
dubbio talor mi venne
che le velate antenne
restasser preda al fluttuar dell’onde,
ma che dovesse mai
farsi ver’ me sì fiera
mentre seco mi tragge amica schiera,
lasso, già nol pensai,
eppur è ver che contro a me s’irrita.
Ahi, chi mi porge aita?
Deh, riportino il vanto
di sottrarmi dall’onde
l’onde di questo pianto.
Ma, chi m’ascolta?
Ohime! Chi mi risponde?
Quale speme a me resta,
se di sì grande stuolo,
pur non si muove
a compatirmi un solo?
Dunque, dunque vorrà l’empia mia sorte
di vita il filo sciogliere?
E deggio, o dio, raccogliere
in sul fior dell’età frutto di morte?
Per me fia dunque ogni mercé sbandita?
Ahi, chi mi porge aita?
Che vaneggi, Arione,
speri trovar pietà dove non regna?
Non apprende ragione,
non conosce virtù la turba indegna,
e, solo intenta alla perversa frode,
non risponde e non ode.
Dite, inumani mostri
di crudeltà, qual ardente Megera
il cor v’accese, onde chi non v’offese
estinto resterà.
Ma chi vendicherà
la mia morte innocente,
con procellosi flutti il mar fremente?
L’Egeo profondo un sì crudele eccesso
no, no, non fia che copra,
ed io fatt’ombra ultrice a voi d’appresso
volterò il mar sossopra,
i nembi agiterò,
coi venti striderò,
e contro al fragil legno,
imitando lo sdegno,
ergerò, frangerò l’onde voraci.
Taci, misero, taci!
La tua mente delira,
non sai che vana è senza forza ogn’ira.
Deh, perdonate, amici, al dolor mio:
egli parlò, non io.
O pianti, o doglie, o pene,
muti pesci, aure sorde, acque profonde!
Deh, chi m’ascolta, ohimé, chi mi risponde?
Lasso, morir conviene!
O pianti, o doglie, o pene!
Ma se non resta ormai scampo alla vita,
sù, sù, nell’ore estreme
mostrisi l’alma ardita:
anco di morte il più crudel sembiante
sa mirar senza tema un cor costante.»
Ciò disse e poi precipitò nell’acque,
ma delfino amoroso,
tratto colà dalle canore note,
al garzon lagrimoso,
anelante e smarrito
suppose il dorso e lo ridusse al lito.
Or, se ciò ponno armoniosi accenti,
qual meraviglia poi
se con amabil pena
di bella donna il canto ogn’alma affrena?
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